Scritto per noi da
Paolo Valori
Si è riaccesa la polemica fra la Cina e il Dalai Lama. La concessione di una
medaglia d'oro da parte del Congresso degli Stati Uniti al leader tibetano, che
vive in esilio in India dal 1959 ha mandato su tutte le furie il governo cinese.
Parlando in una conferenza stampa a Pechino, il portavoce del ministero degli
Esteri Liu Jinchao ha detto che la Cina “si oppone con forza a qualsiasi paese
e qualsiasi persona che usa il Dalai Lama per interferire negli affari interni
della Cina. Abbiamo già comunicato solennemente questo agli Stati Uniti”, ha aggiunto
Liu. Il Dalai Lama, al quale nel 1979 è stato conferito il premio Nobel per la
pace, chiede per il Tibet “una vera autonomia”, ma Pechino continua a considerarlo
un “secessionista”. Alla cerimonia che si svolgerà domani al Campidoglio di Washington
prenderà parte il presidente degli Stati Uniti George W. Bush. La notizia della
partecipazione di Bush, che ha già ricevuto due volte il leader tibetano, ha scatenato
una pesante reazione da parte di Pechino, che ha ammonito gli Usa che l'incontro
“potrebbe danneggiare le relazioni tra i due paesi”.
Legge sulla reincarnazione. Le polemiche erano iniziate la scorsa settimana, quando i principali mezzi
di comunicazione cinesi hanno rivolto pesanti attacchi al premio Nobel, accusandolo
tra l'altro di aver fatto assassinare una decina di persone e di essere stato
un promotore della setta giapponese Aum Shirikyo, i cui attentati hanno causato
la morte di decine di persone. A completare il quadro c'è stata anche l'approvazione
della nuova legge che regola la reincarnazione dei lama e la pone sotto il diretto
controllo delle autorità cinesi. Tale emendamento ha scatenato la rabbia di 35
giovani tibetani esiliati in India, che giovedì scorso hanno attaccato l'ambasciata
cinese a Nuova Deli. I giovani hanno urlato slogan contro la repressione cinese
nella regione, scritto sui muri dell'ambasciata “Liberate il Tibet” e distribuito
volantini ai passanti. La protesta si è conclusa con l'arresto di 20 attivisti,
rinchiusi nel carcere della capitale indiana.
La scelta del successore. I giovani tibetani hanno espresso la loro indignazione per i nuovi regolamenti
religiosi del governo cinese, che “rappresentano un aumento dell'oppressione nei
confronti del Tibet e cercano di minare l'autorità del Dalai Lama”. Infatti, secondo
il testo di legge, saranno le autorità comuniste a decidere chi sarà il loro prossimo
capo del buddismo tibetano. Fino all'arrivo dell'attuale quattordicesimo Dalai
Lama, Tenzin Gyatso, il successore veniva trovato grazie alle premonizioni, ai
responsi degli oracoli e ai segni divini. Il potenziale candidato era sottoposto
a una serie di prove atte a ricordare la vita precedente. Se l'esito risultava
positivo egli era riconosciuto come reincarnazione del suo predecessore. Tenzin
Gyatso ha però dichiarato ufficialmente che, finchè la Cina non concederà l'autonomia
al Tibet, non si reincarnerà nella sua terra natia, e che al completamento della
democratizzazione del governo tibetano in esilio il ruolo del Dalai Lama potrebbe
diventare superfluo. Il 7 agosto 2006 ha proposto che la scelta del suo successore
avvenga mediante un'Assemblea composta dai più autorevoli Lama in esilio.
Problemi anche in India. Da quando Hu Jintao è divenuto presidente, la Cina ha imposto misure ancora più
severe al Tibet. Il Panchen Lama, la seconda carica spirituale del buddismo tibetano,
sequestrato dal governo cinese e rimpiazzato con un monaco scelto dai funzionari
di Partito, è ancora disperso e vi sono centinaia di monaci e fedeli arrestati
senza motivo. L'India ospita il governo tibetano dal 1959, anno in cui fallì una
rivolta popolare anti-cinese in Tibet. Da allora, il Dalai Lama e i funzionari
governativi vivono a Dharamsala, nel nord dell'India. Da alcuni anni, tuttavia,
il governo di Deli ha deciso di raffreddare le relazioni con gli esiliati, per
cercare di migliorare i suoi rapporti con la Cina. Lo scorso anno, in occasione
della visita di stato del presidente Hu Jintao, il governo ha impedito ai tibetani
di manifestare contro Pechino.