Siang Son, 47enne laotiano, lascerà a giorni la sua capanna per
trasferirsi nei prefabbricati fatti costruire dal governo. Il villaggio
dove è sempre vissuto con la sua famiglia, situato sulle rive del
Mekong, nel Laos meridionale, verrà sommerso dal bacino idroelettrico
della diga Nam Theun 2. “Sono pronto ad andarmene. Con l’assistenza del
governo, forse diventerò meno povero”, dice Song all’inviato della Bbc.
Nessuno può dire con certezza quale sarà il destino del contadino e di
altri milioni di abitanti della regione del Mekong, in bilico tra
sviluppo economico e degrado ambientale.
Gli abitanti della valle del Mekong, per lo più agricoltori e
pescatori, rischiano di entrare in conflitto tra loro. L’allarme viene
dalla Mekong River Commission (Mrc), commissione di cooperazione
regionale creata nel ’95 per monitorare lo sviluppo di un’area tra le
più ricche di risorse al mondo. Il fiume scende a Oriente per oltre
4mila chilometri, dall’altopiano tibetano fino al mare Cinese,
attraversando sei Paesi (Cina, Birmania, Laos, Thailandia, Cambogia e
Vietnam). Qui scorre acqua sufficiente a dissetare 100mila persone al
giorno. Milletrecento specie di pesci nuotano nei fondali e chiazze di
ogni tonalità del verde si estendono lungo le rive: sono risaie,
foreste tropicali e campi di frutta e verdura. Questa ricchezza oggi è
seriamente minacciata da due fattori: la corsa allo sviluppo
tecnologico e la crescita demografica. Ovunque, dalla Repubblica
Popolare al Laos, sono stati aperti cantieri per ponti e dighe. E la
popolazione (250 milioni di abitanti in una regione grande quanto la
Germania e la Francia insieme) è destinata ad aumentare dal 30 al 50
per cento entro il 2005*.
La valle del Mekong rimase intoccata fino agli anni ’90. La prima diga
fu completata nel ‘93 a Man Wan (Cina). Il primo ponte venne costruito,
sempre in territorio cinese, un anno più tardi. Oggi una decina di
barriere di cemento interrompono il corso del fiume in diversi punti
per produrre migliaia di megawatt di energia elettrica. Con le dighe
sono nate le tensioni per il controllo delle acque: soprattutto quelle
cinesi nell'alto Mekong non sono ben viste dagli altri Paesi del
bacino, visto che consentono di mutare portata e direzione dell'acqua
che arriva a valle.
Negli ultimi anni, dunque, l’habitat del “serpente dolce” è
estremamente mutato: la portata d’acqua è diminuita fino a rendere
difficile la navigazione e i percorsi migratori di alcuni pesci sono
stati deviati. La situazione si complica durante la stagione secca
(marzo-aprile), quando mesi di siccità danneggiano i raccolti e mettono
a rischio la sopravvivenza della fauna ittica. All’arrivo del monsone
(aprile–settembre), invece, gli straripamenti possono essere
devastanti, come nel Delta (Vietnam del sud), dove il mare arriva a
inondare le campagne, aumentandone il livello di salinità.
Per il futuro non si prospetta nulla di buono. I dirigenti cinesi
vorrebbero rendere il Mekong navigabile per le grandi imbarcazioni,
cancellando a scoppi di dinamite rapide e scogliere.
In questo contesto, possono nascere i contrasti tra agricoltori e
pescatori: da una parte l’agricoltura utilizza il 90 per cento
dell’acqua a disposizione, dall’altra la pesca dipende dalle piene
fluviali frenate dalle dighe, fondamentali per la riproduzione dei
pesci. Nelle valli del Mekong è’ in gioco la sopravvivenza di oltre 100
popolazioni: riso e pesce costituiscono l’alimento base per le famiglie
dei villaggi semi-galleggianti del grande fiume. In una regione dove un
terzo delle persone vive con pochi dollari al giorno “il problema –
spiega la Mrc - è trovare il modo di produrre più cibo utilizzando meno
acqua possibile e continuando a preservare la biodiversità”. Per questo
l’organizzazione ha redatto nel 2003 il Challenge Programme, con
l’obiettivo di attuare sfruttamento delle risorse e sviluppo economico
sostenibili nel Mekong. E non solo: la sfida della Mrc riguarda anche
altri otto bacini fluviali del cosiddetto Sud del Mondo, dal Nilo al
Volta e dalle Ande al fiume Giallo.
Il ruolo della Mekong Rivers Commission, però, è controverso.
L’International Rivers Network (Irn), organizzazione ambientalista
no-profit con sede a Berkeley (California), ricorda che è stata proprio
la Mrc insieme all’Asian Development Bank a proporre la costruzione di
oltre 100 dighe negli ultimi dieci anni. “L’ecosistema del Mekong è in
pericolo”, si legge nel sito dell’Irn. “Molti di questi progetti sono
già stati realizzati. Una delle più grandi minacce è il piano cinese di
erigere otto dighe nell’alto Mekong”. E riguardo alla Nam Teun 2 nel
Laos meridionale, aggiunge: “La diga non allevierà la miseria degli
abitanti della zona, anzi la accentuerà”.
*Fonte Mrc